Più di qualcuno ha storto il naso di fronte alla decisione della McLaren di invertire le posizioni tra Oscar Piastri e Lando Norris dopo che il pit-stop lento di quest’ultimo lo aveva fatto scivolare alle spalle dell’austrialiano leader della classifica piloti. Per quanto mi riguarda, io avevo il terrore che non succedesse, perché avrei voluto succedesse. Il diktat di Andrea Stella – scelto non a caso come immagine di copertina dell’articolo – è chiaro, e lo ha voluto ulteriormente ribadire nel dopo gara, dato che un’orda di giornalisti si era avventata sul team principal italiano chiedendogli il motivo di questa scelta, come se non avessero mai visto le gare della McLaren e, soprattutto, come se non avessero mai capito come si lavora con l’ingegnere di Orvieto al timone. In sintesi, Stella ha spiegato che il piano era quello di fermare ai box prima Piastri e poi Norris senza che però i due si scambiassero di posizione; la sosta prolungata di Norris, poi, ha messo davanti il team a una situazione che hanno regolato secondo i loro principi. Chiamatele “papaya rules”, fate vobis. Il succo del discorso sta nel fatto che in casa McLaren i conti si fanno in pista, e soprattutto ad armi pari, senza che un “fattore esterno” (in questo caso il cambio gomme di Lando) intervenisse a modificare le cose. Come già detto, a me la cosa è piaciuta molto, e se da una parte mi fa specie come in molti non abbiano colto il messaggio di fondo, dall’altra capisco che non tutti possano essere d’accordo. Ma questo è un altro discorso. Ciò che non mi spiego è come non si sia capito che in McLaren il modus operandi è quello. E i piloti, in quanto dipendenti, lo accettano. Lo accetteranno sempre e comunque? Probabilmente no. Ma è bello constatare come in un mondo dove il termine valore è diventato carta straccia, ci sia ancora chi riesce a nobilitarlo, ad attribuirgli un valore (per l’appunto). Altrimenti non si sarebbe chiamato così. L’intento di Stella è nobile: a ciascuno le stesse possibilità, a seconda delle proprie capacità… Ma si parte dalla stessa casella, sulla griglia di partenza. E in pista, quando si spengono le luci, si regolano i conti. È un equilibrio sottile, qualcosa che nella storia della Formula Uno, almeno quella recente, raramente ricordo fosse mai avvenuta. A ora, c’è poco da dire, sta funzionando. Merito anche di due ragazzi assennati, che sanno ascoltare. Quelli che per molti non avrebbero la mentalità del campione. Perché, è noto, per esserlo è necessario fare i rivoluzionari, i ribelli, quelli che non ascoltano e si fanno i fatti (per non dire un’altra parola che fa rima o quasi) propri. Sfortunatamente, uno tra Piastri e Norris diventerà campione del mondo, e una squadra che ce la mette tutta pur di non svantaggiare l’uno o l’altro meriterebbe, a priori, applausi a scena aperta. Non sempre ci si riesce, vedi a Zandvoort con il povero Lando costretto a fermarsi per un problema tecnico. Ma non mi sembra che Stella abbia ordinato ai tecnici McLaren di sabotare la MCL39 di Piastri per garantire regolarità. Ovviamente, queste regole papaia, si possono applicare fino a un certo punto, ma la direzione è quella. Botte da orbi, a ora, non se ne sono viste. E che bello. Forse Netflix non ci potrà costruire una serie: niente rivali che si detestano, niente pepe, niente casino. È quello che piace, ed è per questo che a qualche “guerrafondaio” questa lotta non piace affatto. De gustibus. Ancora una volta, che vinca il migliore. E un grazie grande così… COSÌ, ad Andrea Stella… Polare. Di cognome e di fatto.
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