Cool down lap | Singapore 2025

Kimi Antonelli, l'attrazione per l'esotico e il percorso imprescindibile

Basterebbe volgere lo sguardo alla classifica piloti, per capire che l’andamento della prima stagione in Formula 1 di Andrea Kimi Antonelli è ogni cosa tranne che lineare. Prima che si scatenino orde di scalmanati, disambiguiamo: è tutto normale. Darò una mia lettura man mano che l’articolo scorrerà sotto i vostri occhi… se scorrerà. A ogni modo, ciò che stupisce maggiormente – e che ha un non so cosa di esotico – è che sessantacinque (65) degli ottantotto (88) punti il bolognese li ha conquistati su piste su cui non aveva mai corso. Un eloquente 73,8 per cento… arrotondiamo, va… 74%, se ho fatto bene i conti. E se non fosse questo il caso, è una percentuale comunque elevatissima. Per riepilogare il cammino del pilota della Mercedes: un inizio campionato ottimo nella cosmopolita (e “italianissima”, come, da mantra, un celeberrimo telecronista ci ha raccontato per anni; dal minuto 0:28 di questo video potrete, se vorrete, apprezzare) e quest’anno piovosa (domenica e basta) Melbourne, una conferma a Shanghai e a Suzuka – dove per qualche giro ha anche guidato la gara – e, dopo due tappe in Medio Oriente, la sorpresa di Miami. Primo nella qualifica sprint (nella gara breve andò un po’ peggio), non altrettanto nella qualifica, quella vera, ma comunque nel gruppo di testa, a quel weekend da occhiali e pallone nella Florida delle dorate spiagge si sono susseguiti tre fine settimana da brusco risveglio. Altro che spiagge, figurarsi le granite (sempre che ce ne siano di buone, laggiù…), quando sembrava il momento di spiegare le ali, ecco che nella sua Romagna è diventato tutto più difficile. Tante attenzioni (troppe), per un ragazzo che quattro estati prima debuttava nella Formula 4 italiana. Certo, un’obiezione potrebbe essere: “Eh, ma a questi livelli devi aspettartelo”. Non sono qui per sconfessare le vostre tesi, di ghiaccio (a proposito di granite) o meno che siano, ma dico semplicemente che si tratta di un problema culturale, quello di aspettarsi tutto in un subito che può esistere. O comunque, che facciamo esistere in una società per certi versi trasfigurata in quello che si pretende, quando invece si farebbe meglio a contestualizzare, a soppesare, eccetera eccetera. Sta di fatto che il problema principale, probabilmente, non è nemmeno questo. Ma proseguiamo. In Italia e a Montmeló due inconvenienti tecnici, in mezzo la prestazione da scherzi a parte delle Frecce d’Argento tutte a Monte Carlo. E però, poi c’è il podio di Montréal, che porta con sé tutte le considerazioni del caso, tra record ritoccati e copertine rispolverate. Ecco. Dall’Europa alle Americhe, innanzitutto è successo che la W16 era più forte, maggiormente paragonabile a quella delle prime gare; e poi, la questione delle aspettative che lo stesso Kimi potrebbe aver riposto in se stesso… o magari, un tema puramente tecnico. Andiamo con calma però. Tornati nel Vecchio Continente, tre gare da capogiro, ma da star male. La ciliegina sulla torta in Belgio, dove anche il Q2 diventa un miraggio e la gara è una lenta agonia negli scompartimenti di un trenino DRS che ammorberebbe anche il Dalai Lama (auguri in ritardo, a proposito…). E poi, gli sviluppi più recenti, e una crescita evidenziata dalle ultime tre gare, da Monza, nono, passando per Baku, quarto, fino ad arrivare nella città del leone (denominata così per un equivoco, ma questo è…): Singapore – da “singapura”, dal malese dopo ma sanscrito in origine, “simha”, “leone”, “ura”, “città” -, quinto (e poteva andare meglio, per sua stessa ammissione). Fine del racconto. Riordiniamo i pensieri. Cosa possiamo dedurre, o meglio, desumere. Perché, di dedurre, mi sarei anche un po’ scocciato. In primis, che si sta parlando di un ragazzo di 19 anni, con un’esperienza in monoposto che a paragonarla con quella anche solamente dei suoi coetanei potrebbe definirsi irrisoria. Da qui, mi chiedo perché la Mercedes, nella fattispecie Toto Wolff, abbia adottato una tattica così rischiosa. Qualunque sia il modo in cui Kimi terminerà la stagione, ritengo che un anno “di mezzo”, in una squadra più piccola, avrebbe aiutato. Sarà che la considerazione per questo ragazzo è altissima, ma si fa presto a passare, come si dice, dalla parte del “bimbo sopravvalutato”, del prodigio che doveva e che non è stato. Wolff avrà sì preso uno sberlone, quando si è fatto soffiare Max Verstappen da Helmut Marko e dalla Red Bull, ma da qui a sbatacchiare un Antonelli ancora in fasce… ce ne passa di acqua sotto i ponti; o meglio, ce se sarebbe dovuta passare, visto che la scelta è stata quella opposta. In secundis, Antonelli ha al suo fianco uno dei piloti più forti dell’intero schieramento, vale a dire George Russell; e che quindi, bisogni maneggiare con cura dati e statistiche. Quelle di quest’anno evidenziano una superiorità schiacciante dell’inglese. Ma sarei stato sorpreso del contrario, per le motivazioni sopra espresse. In tertiis, è anche una questione di aspettative. Ma non tanto delle nostre (in parte sì), quanto piuttosto delle sue. Da ragazzo con la testa sulle spalle e sensibile quale sembra essere, è verosimile pensare che possa aver subito un contraccolpo al primo risultato veramente negativo. Ciò, attenzione, non denota debolezza. Al contrario, questa sua forte “dote autocritica” potrà aiutarlo anche in un prossimo futuro nel correggere le lacune e non montarsi troppo la testa. In dosi maggiori, tuttavia, il problema è stato tecnico. Ovvero. Oltre alla mancanza di esperienza, è parso che sulle piste europee e mediorientali, proprio perché ne aveva memoria, i riferimenti del passato non erano da prendere in considerazione, se non in misura marginale. Come a voler dire che l’aver fatto tutto così in fretta possa averlo confuso nell’interpretazione di quei tracciati. E che ciò, con l’aggiunta magari di una vettura meno brillante, della pressione mediatica e di un carico di aspettative troppo oneroso, lo abbia messo in difficoltà, sicuramente molto più di quello che in Mercedes si attendessero. La verità, che piaccia o meno, è che non si scappa; i processi si chiamano così perché devono essere vissuti. Dal latino “processus”, “pro”, che indica un avanzamento, e “cessus”, da “cedere”, “andare”. Quindi “andare avanti”. Sì, ma con raziocinio. Per questi processi bisogna transitare e ciò che si deve camminare… si dovrà camminare. Le scorciatoie, talvolta, diventano labirinti. L’anno prossimo potrebbe, anzi dovrebbe – per non dire dovrà – andare meglio, ma da qui a immaginarsi un Antonelli pari se non superiore a Russell come livello, cosa che in molti si aspettano/prevedono… insomma. Direi ottimistico, se non utopico. A quel punto, forse, ci si renderà conto che la strada più difficile sarebbe stata quella più semplice. In bocca al lupo, Kimi.

Immagine in evidenza: © @MercedesAMGF1 X profile

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Autore

Davide Attanasio
Ragazzo di ventun anni che prova a scrivere di macchine, che girando a velocità folli per tutto il mondo fanno battere il cuore e vibrare l'anima

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