Sguardo al Passato | McLaren e Indy 500, un binomio vivo per un decennio

Nella storia del team di Woking ci sono anche dieci partecipazioni alla grande classica americana, segnate anche dalla conquista di tre edizioni

Nel 2017 la McLaren sarà presente alla 500 miglia di Indianapolis, anche se non come vero e proprio team ufficiale ma solo come gestore di una delle vetture di Andretti Autosport, i cui telai sono però costruiti da Dallara. Il team di Woking, però, non apparirà per la prima volta nella grande classica americana dato che può vantare ben dieci partecipazioni ufficiale nella sua storia, delle quali ben tre si sono concluse con la vittoria.
La storia inizia nel 1968 quando Bruce McLaren decise di iscriversi alla Indy 500 con una vettura realizzata l’anno precedente da Carroll Shelby. Il pensiero dell’americano che voleva che le sue auto fossero troppo potenti, portò al ritiro delle vetture e quindi anche dello stesso McLaren che non poté mai partecipare alla gara. Nel luglio dell’anno successivo decise di voler comunque partecipare alla 500 miglia, ma questa volta non come pilota, bensì come costruttore. A Gordon Coppuk venne affidata la progettazione della M15, vettura che riprendeva le idee della auto usate dal neozelandese nel campionato Can-Am, e che sarebbe quindi stata la prima monoposto McLaren a gareggiare alla 500 miglia di Indianapolis.

Carl Williams e la McLaren M15 alla Indy 500 del 1970


Il 30 maggio 1970 è il giorno dell’esordio ufficiale in gara della McLaren alla Indianapolis 500. Il team di Bruce McLaren, il quale avrebbe perso la vita appena tre giorni più tardi, costruì tre M15 che vennero inizialmente affidate allo stesso Bruce McLaren, a Danny Hulme e a Chris Amon. Il primo non riuscì a qualificarsi, Hulme si bruciò le mani in seguito ad un incidente avvenuto nel corso delle prove e Amon decise di ritirarsi nei giorni precedenti alla gara perché non riusciva a raggiungere le velocità richieste dal team. La McLaren partecipò alla gara solo con due delle vetture affidate a Carl Williams e Peter Revson. Entrambi si qualificarono al centro del gruppo, ma solo Williams riuscì a concludere la gara con un nono posto. Revson, fu costretto al ritiro per un problema meccanico dopo solo 87 giri.
L’anno successivo arriva la prima evoluzione. Viene schierata la M16A, che riprende le forme della vettura di Formula 1, la quale mostra subito il suo potenziale con la pole position conquistata da Peter Revson. Lo statunitense non riuscì però a trasformare la partenza al palo in una vittoria e dovette accontentarsi del secondo posto. Insieme a lui quell’anno corse anche Denny Hulme che partì 4° ma fu costretto al ritiro a causa della rottura di una valvola del motore. In totale ben quattro vetture McLaren scesero in pista, due fornite a team privati, ma solo quella di Revson tagliò il traguardo.

Donohue e la McLaren M16B vincitori della Indy 500 del 1972


Nel 1972 arriva la prima soddisfazione. Il team di Woking porta a Indianapolis ben cinque monoposto, ma come l’anno precedente solo due sono quelle ufficiali, ovvero quella di Gordon Jonhcock e quella del solito Peter Revson (partito in seconda posizione). Per entrambi si tratta di un’edizione sfortunata visto che non sono riusciti a tagliare il traguardo per problemi al motore e al cambio. La M16B che però ha reso indimenticabile questa edizione per la storia della McLaren è stata quella affidata a Mark Donohue e gestita da Roger Penske. La vettura blu n.66 tagliò il traguardo in prima posizione regalando così sia alla McLaren, sia al Team Penske il primo trionfo alla 500 miglia di Indianapolis.
Un anno dopo la McLaren rincara la dose e decide di presentarsi con ben sette M16C sulla griglia della grande classica. Le due ufficiali furono affidate a John Rutherford, che portò a casa la seconda pole position della storia per la casa britannica, ma chiuse al nono posto, e Peter Revson che invece si qualificò in 10a posizione, ma si ritirò a causa di un incidente sul rettilineo principale pochi secondi dopo la bandiera verde. La monoposto meglio piazzata in quella stagione fu quella di Roger McCluskey che tagliò il traguardo in terza posizione. Per lo statunitense, che con la McLaren riuscì a guadagnare il miglior piazzamento alla Indy 500, quell’anno fu molto importante grazie alla vittoria del campionato Champ Car.

McLaren M16D vincitrice della Indy 500 del 1974


Il 1974 vede John Rutherford, per il secondo anno consecutivo, al volante di una vettura del team di Bruce McLaren. Il pilota americano fu anche l’unico ufficiale ad essere schierato dal team di Woking. Furono sei le monoposto inglesi al via di quella edizione, di cui cinque affidate a team privati. La migliore M16D, però, questa stagione fu proprio quella ufficiale. Rutherford infatti portò a casa sia la pole position che la corsa, rimanendo al comando per 122 dei 200 giri e conquistando così la seconda vittoria McLaren nella 500 miglia di Indianapolis.

John Rutherford con la M16E alla Indy 500 del 1976


Nel 1975 arrivò la prima vettura realizzata interamente da John Barnard, il quale dal 1972 aveva in parte aiutato Gordon Coppuk alla realizzazione delle monoposto IndyCar. La M16E prese parte sia alla Indy 500 di quell’anno che di quello successivo. Nel ’75 nuovamente sette McLaren parteciparono alla classica d’oltreoceano e ancora una volta il miglior risultato fu colto da John Rutherford che con il secondo posto conquistò il suo secondo podio consecutivo in questa gara. Ben più importante fu però il 1976 dove lo stesso Rutherford replicò l’impresa raggiunta nel 1974, ovvero conquistare la pole position e quindi tagliare per primo il traguardo al termine del 200° giro. A differenza di due anni prima, però, in questa edizione lo statunitense percorse solo 48 giri in testa alla classifica. Questa fu inoltre la terza e ultima vittoria della McLaren a Indianapolis, la seconda conquistata dal team ufficiale.
L’anno seguente, il 1977, fu sinonimo di innovazione. Venne abbandonata la M16, che al costruttore di Woking aveva portato tre vittorie, tre pole position e un secondo posto, per passare alla nuova McLaren M24. Questa vettura abbandonò i motori Offenhauser per passare ai Ford Cosworth. Rispetto alle M16 però mantenne lo schema delle sospensioni. L’avventura del team creato da Bruce McLaren con la nuova monoposto non fu esaltante come quella precedente. Nelle tre edizioni dal 1977 al 1979 la M24 (del team ufficiale, ndr), e la sua evoluzione M24B, conquistò un 13° posto come miglior risultato a Indianapolis, grazie a Rutherford, mentre quelle affidate a team privati videro un 2° posto nel 1978. Il pilota a stelle e strisce rimase in McLaren fino al termine della storia ufficiale del team oltreoceano, avvenuta al termine della stagione 1979. Il progetto non fu vincente solo per quanto riguarda la Indy 500, infatti nel campionato Champ Car in tre anni conquisto otto pole e altrettante vittorie.
Dopo l’abbandono del team ufficiale McLaren continuò a partecipare alla 500 miglia di Indianapolis, mediante i team privati, fino al 1981. In questi due anni i migliori risultati furono la seconda posizione dei Tom Sneva del 1980 e il terzo posto di Vern Schuppan nel 1981. L’avventura del team “orange” a Indianapolis è quindi durata 12 anni, in cui con le M15, M16 e M24 la casa britannica è riuscita a conquistare tre vittorie (1972 con Penske, 1974 e 1976 con il team ufficiale), quattro secondi posti e due terze piazze.

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