Ride Through | Si chiama coerenza. E sì, fa male

© Anthoine Hubert / Official Facebook Page

Dinnanzi ad eventi di tale drammaticità, come la morte di Anthoine Hubert, una delle domande più ricorrenti che salta fuori in ogni discussione postuma è: “E’ giusto o no correre dopo la morte di un pilota?“. E’ evidente come la risposta a tale domanda esponga facilmente al rischio di passare per l’insensibile di turno, che non compartecipa pienamente al dolore della tragedia e che ripete, lobotomizzante, lo slogan “The show must go on“, promosso e sponsorizzato da una multinazionale che bada solo al business ed alla pubblicità. Io, per fortuna, non rientro in questa categoria, ma sono ugualmente dell’opinione che gareggiare dopo la morte di un pilota sia giusto. Seguendo un unico e solo principio, che oltrepassa a piè pari discorsi economici, da una parte, e moralistici, dall’altra. La coerenza.

© Anthoine Hubert / Official Facebook Page

Che c’entra la coerenza di fronte alla morte? E’ pur sempre un ragazzo di 22 anni, che ha lasciato un vuoto incolmabile nella vita dei suoi familiari, dei suoi amici, e persino dei suoi tifosi. E’ una persona, non un robot. Non è morto un marchingegno, ma un uomo in carne e ossa, dotato di emozioni, di pregi, di difetti, proprio come te, come me, come tutti. Avresti reagito allo stesso modo se fosse morto un tuo caro?No, certo che no. (E che Dio me ne scampi dal passare per cinico in merito al seguente ragionamento). La verità, nuda e cruda, è che Anthoine se n’è andato, irrimediabilmente. La verità, ragionata, è che Anthoine, così come Jules, Marco, Shōya e tanti altri, non per forza giovani, se ne sono andati inseguendo la loro passione, correre. “E questo giustifica la loro morte?Assolutamente no, ci mancherebbe. La morte non può essere giustificata de facto, ed è la cosa più brutta che possa capitare. Ma una ragazza, o un ragazzo, prima che gli affibbino l’etichetta “pilota”, sa contro quali rischi va in contro. Sa che “Motorsport is dangerous“. E questo non è uno slogan sbandierato lì per caso: è una verità dimostrata e confutata. Ed è proprio per questo che correre, per il circus della F1, MotoGP o qualsiasi altra competizione sportiva, è l’unico modo per portare rispetto. Sospendere l’evento, aborrire dal giorno alla notte ogni tipo di gara, destarsi improvvisamente dal torpore satirico e sarcastico può farti mettere a posto con la coscienza. Ma rischia, a lungo andare, di far cadere tutto in un’ipocrisia concettuale e circostanziale, che tradisce il significato nascosto, difficile e brutto del motorsport. Si chiama coerenza. E sì, fa male.

Immagine in evidenza: © Anthoine Hubert / Official Facebook Page

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Autore

Francesco Carbonara
Francesco Carbonara, 20 anni, diplomato al liceo scientifico, studio Economia e Commercio a Bari. Benché amante dello sport in senso trasversale, il mio cuore è riservato solo a MotoGP, Calcio e F1. Le 2 ruote meglio vederle, le 4 meglio guidarle. Il mio fine? Trasmettervi, con limpidezza ed eleganza, la mia passione per il motorsport.

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