Nella nefasta, triste vicenda della pandemia, concentrandoci solamente sul lato sportivo – in particolare sulla F1 -, ci era stata data una possibilità. Quella di riscoprire luoghi, nella fattispecie piste, che sarebbero altrimenti rimaste nell’immaginario collettivo, nella fantasia di molti che, quelle piste, non sapevano neanche cos’erano o come si chiamavano. Il Mugello, il Nürburgring, Portimão, Istanbul e Imola; per le prime due, dopo il 2020, non c’è stato modo di proseguire, mentre i circuiti portoghese e turco hanno resistito fino al 2021. L’unica superstite, quindi, è stata Imola. Dove però, lo scorso fine settimana, potrebbe essersi corsa l’ultima gara. Difficile, infatti, un rinnovo a dispetto nel ‘nuovo che avanza’. Ma andiamo con ordine. Un ritorno fortunato – tralasciando la cancellazione dell’edizione 2023 (alluvione) – che ha fatto provare emozioni già note a molti, che magari dagli spalti, quando erano piccoli appassionati, vedevano, sentivano e respiravano quelle sensazioni del passaggio delle vetture, dei piloti, al Tamburello, alle Acque Minerali o alla Rivazza, per citare alcuni dei nomi delle curve dell’Autodromo, e che magari, sempre dagli spalti, con qualche capello in meno e delle rughe in più, hanno visto ripassare quelle immagini nelle loro menti e nei loro cuori. Forse, sarà scesa anche qualche lacrima. Sicuramente, ci sono luoghi ammantati di una veste diversa, unica nel suo genere e per questo così speciale.
La Formula 1, però, pare avere altri interessi. Economici, ovviamente. Lo sport è in salute, ormai tutti o quasi si chiedono cosa sia, questa Formula 1. E questo, sicuramente, ha dei risvolti positivi. Questa Formula 1, tuttavia, si sta dimenticando da dove arriva. Questo, e lo si può notare, non viene smentito dalle dichiarazioni, bensì dai fatti. Predicare bene, razzolare male. Si è parlato di ‘attualizzare la tradizione’: parole, parole, parole. Ma come la si vuole attualizzare questa tradizione se una pista come Imola non troverà il suo spazio nel calendario dell’anno prossimo, oppure se il circuito di Spa, rinnovato fino al 2031, non avrà una sua edizione né nel 2028 né nel 2030 perché si dovrà alternare con altri circuiti? Sono fatti, questi, che stridono con un altro fatto: il rinnovo di Miami fino al 2041, quello del Qatar fino al 2032, così come l’accordo che legherà fino al 2035 il circus alla nuova pista di Madrid che a sua volta andrà a sostituire Barcellona il cui contratto scadrà nel 2026. Non si tratta, quindi, di uno sport che insegue l’attualizzazione della tradizione. Si tratta, piuttosto, di uno sport che va dove vanno i soldi. Lo abbiamo già capito. Tutto è legittimo, a questo mondo. Però che ce lo dicano, senza nascondersi dietro a un dito. Altri aspetti, sfaccettature, poi, ci sarebbero da analizzare, come la mania del cittadino. Non è un caso se già circa un terzo delle piste è da definire sotto la nomea di cittadino/semi-cittadino, etc.
Si va dove vanno gli interessi di chi batte moneta. Progetti di grandi piste, richieste da ogni dove di chi, con molte più risorse da sfruttare, decide di giocare sul sicuro. Perché in questo momento ‘giocare’ sulla Formula 1 è giocare sul sicuro. E su questo bisogna essere franchi. Ma fino a dove si arriverà? Fino a dove il gioco varrà la candela? Da chi questo sport lo segue da ormai qualche anno, ci si chiede quando la cera si consumerà definitivamente. La logica richiederebbe un equilibrio, ma quello che si nota è una transizione piuttosto aggressiva, iniziata ormai da un bel po’ di tempo, verso una logica delle co(r)se che vede poco altri aspetti se non quello/i sopra citato/i. La Formula 1 ha bisogno di certi luoghi, perché la F1 è nata e ha mosso i primi passi da questi luoghi. Ha gattonato, poi camminato e continua a farlo. E, su questo non ci sono dubbi, continuerà a farlo. Ma in quale modo. Il progresso, e questo chi di dovere lo sa (ma lo applica molto poco), si basa anche su altri valori. Anche in un mondo così tanto ossessionato, trasfigurato, rivoluzionato dalle apparenze, da una rapidità, da un tutto e subito che rispecchia perfettamente il modo di pensare di molte delle nuove leve del pianeta. La rapidità di dire che quello non ci serve e questo sì. Perché quello è vecchio, questo è scintillante. La speranza è che la luce dello scintillante non accechi definitivamente chi deve decidere. Perché poi si diventa zoppi.
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