Ride Through | Dammi solo un minuto

© Scuderia Ferrari Media Press

Lo so 
So tutto non parlare più 
Lo so che forse è meglio 
Ma crederci non voglio 
Non c’ero preparato

Leggendo le parole post-gara di Mattia Binotto, è emersa in me una strana sensazione a metà fra la compassione e la pena. Per farla breve, il team principal Ferrari ha dichiarato che la prestazione di oggi, il celeberrimo minuto incassato e l’intero andamento della stagione derivano da una mancanza di prestazione, a braccetto con la carenza di carico aerodinamico; che il comportamento della vettura varia da pista a pista; che gli equilibri si rimescolano ogni domenica, suggerendo Spa e Monza come possibili oasi fertili. In pratica, una serie di ovvietà che ci si aspetta di sentire dal vicino di casa, dall’amico al bar, non da un rinomato ingegnere, nonché uomo di punta del Cavallino in ambito manageriale, politico e produttivo.

Potrebbe sembrarvi esagerato, ma queste dichiarazioni mi hanno terrorizzato. Sia per il loro contenuto, sia per l’usuale flemma con la quale sono state rilasciate. Come se la situazione fosse estremamente sotto controllo, e la debacle ungherese rappresentasse solo un rifornimento andato a vuoto nella conquista trionfale del Tour. Come se la Ferrari possa davvero permettersi di incassare un minuto sotto la bandiera a scacchi.
E’ forse questo il punto che sfugge – molto apparentemente – a Mattia Binotto: la storia, l’importanza e l’onore del marchio. In molti criticarono, ai tempi, l’atteggiamento “remissivo” di Maurizio Arrivabene, tedoforo dello slogan “Piedi per terra e a testa bassa“. Dietro quelle parole, però, vi era la chiara e ferma volontà di rimediare all’annata disastrosa del 2014, seguita da quella 2016, per riportare in auge soprattutto la credibilità della Scuderia di Maranello. Che, ad oggi, sembra si sia smarrita in una delle tante dichiarazioni post-gara dal gusto scialbo e insipido.

I 61 secondi incassati da Vettel non sono solo causa della fenomenale prestazione di Hamilton che, spinto a dovere dalla squadra, vero fortino di sicurezza, stabilità mentale e competenza, ha letteralmente demolito ogni atomo avversario. Ma anche, e soprattutto, di un’identità di squadra che ormai, così sembra, è andata a farsi benedire. Potranno sembrare piccoli episodi, ma anche il minimo errore di montaggio al pit è sintomo di una rincorsa frenetica alla competitività, senza un itinerario programmato da percorrere. Un po’ come un turista che, volendo andare in vacanza in India, si affida al proprio istinto e si ritrova magicamente in America.

Le prestazioni, e l’ambiente Ferrari, appaiono troppo brutti per essere veri. La squadra abituata a dominare, ad essere riconosciuta come faro e anima dell’automobilismo su pista, a far palpitare i cuori dei tifosi anche nelle situazioni più difficili, sta pian piano perdendo di smalto, di orgoglio, di peso. Un po’ come la livrea, sangue opaco, privata dall’ossigeno dei risultati. I piloti, vessati per ogni minimo errore, cercano di restare aggrappati ad una corda che ha tutta l’intenzione di spezzarsi. Spa e Monza paiono favorevoli? Che lo siano! Che la Ferrari si desti da questo incubo. Per i tifosi, ma soprattutto per lo sport. Altrimenti, ahitutti, potrebbe seriamente incombere l’ultimo giro d’orologio.

Come mai i tuoi occhi ora stanno piangendo 
Dimmi che era un sogno e ci stiamo svegliando
Come mai i tuoi occhi ora stanno piangendo 
Dimmi che era un sogno e ci stiamo svegliando

Immagine in evidenza: © Scuderia Ferrari Media Center

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Autore

Francesco Carbonara
Francesco Carbonara, 20 anni, diplomato al liceo scientifico, studio Economia e Commercio a Bari. Benché amante dello sport in senso trasversale, il mio cuore è riservato solo a MotoGP, Calcio e F1. Le 2 ruote meglio vederle, le 4 meglio guidarle. Il mio fine? Trasmettervi, con limpidezza ed eleganza, la mia passione per il motorsport.

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